Il mito di Jesse James, bandito e assassino ma gratificato come Robin Hood nell'immaginario dell'America poveraccia di fine Ottocento: a partire dal momento in cui si affaccia all'orizzonte la figura del giovane discepolo che finirà per ammazzarlo, colpendolo alle spalle.Non si tratta qui di svelare un finale (operazione sempre evitata dal vostro cronista, anche perché cinematograficamente poco determinante), per altro già esplicitato dal titolo oltre che nel patrimonio cinefilo (sulla vicenda si è chinata nel tempo gente non da poco, come Sam Fuller, Nicholas Ray, Philip Kaufman, Henry King o Walter Hill) e culturale degli Stati Uniti. Non c'è granché da rivelare, anche perché L'ASSASSINIO DI JESSE JAMES non è un western se non per lo sfondo, non un film di azione (al contrario, le cadenze sono lente e prolungate, piuttosto solenni, crepuscolari) ma un'indagine introspettiva di notevole finezza psicologica. E un interrogativo, che potrebbe anche essere semplice fonte di curiosità: ma com'è che la morale e la memoria di tutto un popolo sia rimasta dalla parte di un ladro e di un fuorilegge piuttosto che di colui che l'aveva tolto di mezzo, compiendo opera di apparente giustizia?
Sotto lo splendore delle sue immagini sfumate e monocromatiche, del respiro magnifico dello schermo allargato (non a caso la fotografia è di Roger Deakins, direttore di tutti i capolavori dei fratelli Coen), dietro la perfezione della ricostruzione storica è a queste domande che il film del regista neozelandese deve la propria originalità e la sua riuscita. Sondando, sulla tensione dei dialoghi, sul valore delle parole, sulla suspense quasi esasperante ma costantemente avvincente dei tempi dilatati a dismisura (il film dura 2 ore e quaranta; ma le versione originale era addirittura di oltre quattro ore!) al tempo stesso la mediocre ambiguità del piccolo vigliacco, la sua infatuazione da amore e odio nei confronti di un padre impossibile da assumere, ma egualmente il processo di autodistruzione della vittima. Che, voltando le spalle a Robert Ford e slacciandosi il cinturone con la pistola, avrebbe concluso con quell'ultima provocazione il proprio viaggio all'interno della paranoia.
Progressivamente, l'immensità dell'ambiente, la vastità del paesaggio si rinchiude nel cerchio vieppiù claustrofobico dei rapporti fra i due personaggi. Ormai dimentico di quell'assalto al treno da parte dei fuorilegge (l'ultimo, storicamente, organizzato dalla banda di Jesse James) dell'inizio, il film si concentra sulle reazioni più intime e rivelatrici dei protagonisti. Splendide, sfumate, sempre concentrate interpretazioni: non solo da parte di Brad Pitt, solo apparentemente svagato Jesse James (premiato alla Mostra di Venezia) ma, in maniera ancora più impressionante, dalla memorabile duplicità dell'arrivista mimetico e sfuggente impersonata dal bravissimo Casey Affleck.